Non
leggo poeti che abbiano già compiuto diciotto anni e non leggo narratori che
abbiano meno di trent’anni. La poesia si fa con la verginità, la letteratura
con la vita.
È con una citazione di Ginevra Bompiani che Michela Murgia ha aperto il secondo
appuntamento del festival letterario Dentro le Storie. Un incontro,
moderato dal direttore artistico Michele Vaccari, che ha
toccato le molteplici tematiche affrontate nei testi della scrittrice sarda.
Mi
piace che il lettore sappia che quando scrivo, parlo di vita attraversata. Non
significa che tutto quello di cui parlo, l’abbia realmente vissuto. Significa
che, potenzialmente, avrei potuto viverlo, che ho sfiorato situazioni di cui
sono stata in grado di intuire l’essenza. I libri sono posti in cui puoi far
succedere molte delle cose che avresti voluto sperimentare.
Le esperienze di vita che l’hanno forgiata sono, per l’autrice,
garanzia di una veridicità nei confronti del pubblico, partendo dalla condizione di precariato da cui è nato il primo romanzo, Il mondo deve sapere.
Quando
esordì, il mio primo libro denunciava una situazione di precariato in un call
center. Ero convinta di star raccontando una storia che riguardava solo me e le
sedici persone con cui lavoravo. Non avevo nessuna coscienza che quel tipo di
contratto, di coercizione fosse in realtà la fotografia scattata a una generazione - la nostra - iper-strutturata
a livello formativo e poi finita nei seminterrati a cercare di vendere aspirapolveri.
Il passaggio dal primo al secondo romanzo, il forte cambio
di stile e registro narrativo ha destato più di una perplessità, come ha ricordato la stessa autrice.
Tutt’oggi
c’è ancora chi pensa che la persona che ha scritto “Accabadora” non è la stessa de “Il mondo deve sapere”. Ed è vero.
La ragazza che ha scritto un blog anonimo dentro un call center - in una
condizione di estrema rabbia e di impotenza compressa - non è la donna che, tre
anni dopo, ha scritto “Accabadora” con un anticipo di una grande casa editrice,
con la certezza di non doversi preoccupare della fine del mese, con la serenità
di starsi riconciliando con le proprie aspettative di vita. Il primo testo è
stato scritto con l’urgenza del topo in trappola.
Ci
voleva l’intuito di un mago, di un profeta per immaginare che io potessi
scrivere qualcosa di diverso da un’esperienza diretta con un registro ironico.
Io stessa non ci credevo: ho letto troppi libri belli per avvicinarmi alla
pagina bianca con leggerezza. La paura non è quella di non riuscire a narrare
storie nuove, quella è una certezza. Le
storie nuove, come dice Marcello Fois, non esistono. Può esistere una voce,
un’inquadratura particolare nel tempo che ti restituisce la storia che conosci
già in un modo che non avresti mai saputo leggere.
Michele Vaccari e Michela Murgia
Un rinnovarsi o, forse, più semplicemente, un farsi
conoscere in tutte le proprie sfaccettature, hanno portato Michela Murgia a
dedicarsi - sorprendendo nuovamente - alla stesura di un saggio, Ave
Mary, subito dopo la vittoria del prestigioso Premio Campiello. Un saggio che ha mostrato, sfatando molti
pregiudizi e falsi miti, come sia possibile mantenere una
posizione critica nei confronti della Chiesa senza che questo implichi, necessariamente, un allontanamento dalla stessa.
La
dottrina la fanno i pastori. Il teologo, invece, è una figura che nasce per
mettere bombe nella dottrina stessa. Lo fanno tutti, ma non in Italia, per una
ragione ben precisa. Rispetto al resto d’Europa, in cui le cattedre sono
pubbliche, le facoltà teologiche, nel nostro Paese, sono facoltà pontificie. Le
cattedre, quindi, sono assegnate dal Vaticano.
Studiare
teologia è stata la cosa più importante che abbia fatto in tutta la mia vita perché mi ha regalato un’attitudine interrogativa,
un’ansia esegetica nei confronti del mondo al di là della Bibbia – ammesso che
dentro la Bibbia non sia già contenuto tutto il mondo – che mi ha reso più scrittrice
di qualsiasi altra scelta abbia fatto nella vita. La celebre risposta di Gesù
agli apostoli – “Chi dite che io sia?”
- è, in fondo, un invito a restare tutti
teologi.
“Ave Mary”
non è stato interpretato come un libro anticlericale, provocatorio, è stato
considerato un contributo critico a una discussione. Perché restare dentro la Chiesa
e mantenere una posizione critica
significa riconoscere che c’è un senso. Che magari non vedrò io, che vedrà mia
figlia o la figlia di mia figlia. Esattamente come io, oggi, vedo i frutti
delle pressioni di mia madre e di mia nonna, non solo dentro la chiesa, ma
anche fuori. Raccogliamo tutti eredità
di resistenza.
Il saggio socio-teologico sul peso della formazione
cattolica nella determinazione dei modelli di genere avrebbe dovuto constare di
un capitolo in più, incentrato sul rapporto tra Cristianesimo e Islam. Quattro
anni fa, al momento della pubblicazione dello scritto, il confronto non
sembrava essere così centrale e attuale. Oggi è imprescindibile.
Un
sistema che fonda i propri archetipi religiosi su un’idea di dio maschio e
padre non potrà essere qualcosa di molto diverso da un patriarcato. I peccati hanno smesso di essere reati da
molto tempo perché c’è stato uno scollamento tra quello che la Chiesa
insegna e la società ha lottato per costruire. Quello che c’è scritto nel Corano
è, di fatto, in molti Stati arabi, una costituzione. E quella costituzione
afferma l’inferiorità della donna. La parola “mahram” in arabo significa “padrone”
e non viene utilizzata solo per identificare il padre e il marito, ma anche per
indicare semplicemente l’uomo familiare con cui la donna si accompagna. In
sardo c’è una parola - “mere” - che vuol dire “padrone”. Una parola che sento
molto vicina e che mi fa riflettere su quanto noi occidentali ci sentiamo
evoluti e distanti da certi meccanismi, ma, in realtà, non lo siamo.
Le due
religioni stanno provando a dialogare. Come donne dobbiamo avere paura: il terreno del dialogo potrebbe essere il
nostro corpo. Se non c’è una società civile molto ferma sulle battaglie che
sono già state combattute, sugli obiettivi già raggiunti è probabile che il terreno
ecumenico d’incontro possano essere i nostri destini di donne.
Dopo aver tracciato un percorso ideale dentro le storie
narrate e le tematiche analizzate nei testi di Michela Murgia, l’incontro si è
concluso con una piccola anticipazione sul nuovo
romanzo: un’ironica rassicurazione su cosa il pubblico non debba
aspettarsi.
L’uscita
è prevista per il blocco ottobre - novembre. E no. Non tratterà delle mie
memorie di campagne elettorali.
Michela Murgia è una scrittrice che leggo volentieri. Ave Mary e L'incontro sono i libri che preferisco.
RispondiEliminaAl Festival di Mantova sono riuscita ad avere un suo autografo.
L'evento è stato molto interessante! Per questo motivo, ho cercato di riportare il più possibile, lasciando che fossero le parole dell'autrice ad arrivare anche a chi non era presente. Io ho letto "Accabadora" - meraviglioso - e "L'incontro", ma voglio recuperare tutto quello che mi manca.
EliminaHo letto Accabadora molto tempo fa e sebbene non ricordi il finale e vagamente la trama, ricordo bene che mi aveva affascinato moltissimo. Però non avendo letto altro dell'autrice non sapevo fosse così camaleontica. Vorrei leggere il suo romanzo d'esordio.
RispondiEliminaAccabadora mi ha stregato. Credo valga la pena di leggere tutto: le impressioni durante l'incontro sono state più che positive. Sono anche io incuriosita dal romanzo d'esordio ancora, ahimè, attualissimo...
EliminaDa tantissimo mi ripeto che devo leggere qualcosa di Michela Murgia. Il suo "Accabadora" è nella mia lista dei desideri ormai da troppo tempo, quindi mi ripropongo di leggerlo al più presto. Mi attira moltissimo e credo sia uno di quei romanzi che ti sanno, in qualche modo, lasciare qualcosa.
RispondiEliminaCiao Ale! Grazie per il commento :)
EliminaAssolutamente sì, "Accabadora" è un piccolo gioiello.
Sono contenta di aver scoperto il tuo blog: ho trovato diversi articoli interessanti e ho già segnato alcuni titoli.